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304 | dialoghi dei morti. |
14.
Alessandro e Filippo.
Filippo. Ora, o Alessandro, non dirai più che non mi sei figliuolo: chè non saresti morto, se fossi nato d’Ammone.
Alessandro. Ben sapevo io, o padre, ch’io son figliuolo di Filippo di Aminta: ma mi valsi dell’oracolo, perchè lo credetti utile al fatto mio.
Filippo. Come dici? credesti utile di lasciarti ingannar dai profeti?
Alessandro. Questo no: ma i barbari mi riguardavano con istupore, e nessuno più mi resisteva, credendo di combattere contro un dio, e così li soggiogai facilmente.
Filippo. Ma quali prodi tu soggiogasti, se combattesti sempre con timidi omiciattoli, armati di archetti e di scudetti di vimini? Insignorirsi degli Elleni era valore, dei Beoti, de’ Focesi, degli Ateniesi; superare i fanti d’Arcadia, i cavalli Tessali, gli arcieri Eliesi, gli scudati di Mantinea, e i Traci, e gl’Illirii, ed i Peoni, questa era prodezza grande. I Medi, i Persi, i Caldei, uomini cascanti d’oro e di mollezza, ben ti ricorda, come furono sbaragliati, prima di te, da quei diecimila che si ritirarono con Clearco, e come non aspettaron neppure la mischia, e senza scagliare i dardi, spulezzarono.
Alessandro. Ma gli Sciti, o padre, e gli elefanti degl’Indiani non eran da pigliare a gabbo. E poi io non me ne feci signore seminando discordie, e comperando vittorie con tradimenti; non ispergiurai, non mentii alle promesse, nè commisi perfidie per vincere. Gli Elleni poi, li recai al mio potere senza versar sangue, e forse sai come punii i Tebani.
Filippo. So tutto; chè me lo narrò Clito, che da te fu trafitto di lancia ed ucciso in un convito perchè ardì di lodare le imprese mie più delle tue. Tu, deposta la clamide macedone, vestito, come mi dicono, del robone de’ Persi e con la tiara diritta in capo, ti facesti adorare dai Macedoni, dagli uomini liberi; e per colmo di ridicolo, imitasti tutte le costume dei vinti. Taccio delle altre opere tue, chiuder coi leoni gli uomini più