Pagina:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 1.djvu/308

300 dialoghi dei morti.

dezza dalla propria virtù sollevati e fatti meritevoli d’imperio. Io adunque lanciatomi con pochi nella Spagna; ed essendo primamente luogotenente di mio fratello, fui stimato degno di più gran cose, e giudicato primo fra tutti: e divenuto capitano vinsi i Celtiberi, domai i Galati d’occidente, e valicati altissimi monti, scorsi tutte le regioni intorno al Po, rovinai tante città, signoreggiai le pianure d’Italia, venni sino alle mura di Roma, ed in un sol dì uccisi tanti nemici, da misurarne gli anelli a staia, e far ponti su i fiumi coi loro cadaveri. Queste imprese io feci non chiamandomi figliuolo di Giove, non facendomi Dio, nè raccontando i sogni di mia madre, ma dicendo di essere uomo, avendo per avversari capitani espertissimi, combattendo con soldati agguerritissimi; ben altri dai Medi e dagli Armeni, che danno le spalle prima di venire alle mani, e lascian la vittoria a chi pure ardisce di volerla. Alessandro ebbe il regno dal padre, ed egli lo accrebbe e di molto lo dilargò col favore della fortuna. Ma poichè vinse quello sciagurato di Dario ad Isso e ad Arbela, lasciati i patrii costumi, si fece adorare, prese vesti ed usanze dai Medi, e nei conviti si macchiò del sangue degli amici, e li fe’ prendere e menare a morte. Io fui egualmente principe nella mia patria: e quand’ella mi chiamò, perchè una gran flotta minacciava la Libia, subito ubbidii; e tornai privato, e poi che fui condannato, il sopportai con civile moderazione. Questo feci io, ed ero un barbaro, un rozzo della cultura greca: e non cantavo Omero, come costui, non fui ammaestrato dal sapiente Aristotele, ma mi guidavo con la sola buona natura. Ecco le ragioni perchè io dico che sono maggiore di Alessandro. Egli cinse il capo di diadema, e forse pare più bello ai Macedoni, usati ad ammirar queste cose: ma non per questo egli sarà stimato migliore di un prode capitano il quale usò più l’ingegno che la fortuna.

Minosse. Ha parlato di sè non ignobilmente, nè secondo Libio. E tu, o Alessandro, che rispondi a questo?

Alessandro. Io non dovrei rispondere, o Minosse, a questo temerario: che la fama basta ad insegnarti qual re era io, e qual ladrone costui: ma pure vedi s’io di leggieri lo superai. Ancor giovanetto venni al regno, e trovatolo sconvolto, lo ricomposi, e punii gli uccisori di mio padre: dipoi avendo at-