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298 dialoghi dei morti.

11.

Crate e Diogene.


Crate. Conoscevi, o Diogene, il ricco Mirico, quel gran ricco di Corinto, che aveva in mare molte navi mercantili; e il suo cugino Aristea, ricco anch’egli, il quale soleva ripetere quel detto di Omero: O tu levi me, o io te?

Diogene. E perchè, o Crate?

Crate. Si facevano carezze tra loro, ciascuno sperando l’eredità dell’altro, chè erano di una età: e pubblicarono i loro testamenti, nei quali, Mirico, se moriva prima di Aristea, gli lasciava tutto il suo; e così Aristea a Mirico, se trapassava prima. Quest’era lo scritto: e le carezze e i complimenti erano inestimabili. Gli indovini, gli astrolaghi, i disfinitori dei sogni, i Caldei, ed Apollo stesso ora facevano prevalere Aristea, ora Mirico: ed i talenti ora in questa, ora in quella coppa della bilancia traboccavano.

Diogene. Ma il fine qual fu, o Crate? egli è da udire.

Crate. Ambedue morirono in un giorno: e le due eredità vennero ad Eunomio e Trasiclea, due loro congionti ai quali non era stata mai predetta questa buona ventura. Navigando essi da Sicione a Cirra, a mezzo del cammino dieder di traverso nel Japigio, e travolsero giù.

Diogene. E loro stette bene. Noi, quando eravamo in vita, non pensammo mai a siffatte cose tra noi: nè io mai desiderai la morte ad Antistene per ereditarne il bastone, che era di fortissimo oleastro; nè pensomi che tu, o Crate, desiderasti mai ch’io morissi per ereditare la mia ricchezza, la botte, e la bisaccia con entro due misure di lupini.

Crate. Io non avevo bisogno di questo, e neppure tu, o Diogene. Quello di che avevamo bisogno, tu l’ereditasti da Antistene, ed io da te; e l’è cosa più grande e più preziosa del regno dei Persi.

Diogene. Quale dici?

Crate. Sapienza, frugalità, verità, libertà, franco parlare.

Diogene. Sì, per Giove, mi ricorda che questa ricchezza io ricevetti da Antistene, l’accrebbi, e la lasciai a te.