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294 | dialoghi dei morti. |
10.
Caronte, Mercurio, e diversi morti.
Caronte. Udite, l’è cosa che ci riguarda. Noi abbiamo, come vedete, un po’ di battelletto, che sotto è marcio e fa acqua, e se poco inclinerà da una banda, anderà sossopra. Voi venite a folla, ciascuno con molte cose addosso. Se c’entrate con questo peso, temo che non farete senno tardi, specialmente voi altri che non sapete nuotare.
I morti. Come dunque faremo per avere buon tragitto?
Caronte. Ve lo dirò io. Dovete entrar nudi, lasciando su la riva tutti cotesti impacci: chè anche così appena capirete nel battello. Tu poi, o Mercurio, baderai a non metter dentro alcuno di loro che non sia leggiero, ed abbia, come ho detto, gettato ogn’impaccio. Mettiti in capo alla scala, fà un po’ di ricerca a ciascuno, e ricevili, costringendoli ad entrar nudi.
Mercurio. Ben dici, e così faremo. Tu che ti fai innanzi, chi sei?
Menippo. Son Menippo io. Eccoti, o Mercurio, bisaccia e bastone gettati nel palude: feci bene a neppure portarmi il mantello.
Mercurio. Entra, o Menippo, fiore degli uomini, ed abbi il primo posto presso al nocchiero lassù, acciocchè riguardi tutti. E questo bello chi è?
Carmolao. Carmolao, quel di Megara, quel tanto amato, il cui bacio valeva due talenti.
Mercurio. Spògliati adunque della bellezza, e delle labbra con tutti i baci, e delle lunghe chiome, e dell’incarnato delle gote, e di tutta la pelle. Bene così: or se’ leggiero: monta. E tu con quella porpora, quel diadema, e quel fiero piglio, chi se’ tu?
Lampico. Lampico, re de’ Geloi.
Mercurio. E ti presenti, o Lampico, con tutta questa roba indosso?
Lampico. E che, o Mercurio? un re doveva venir nudo?
Mercurio. Qui non c’è re, ma ben morti: deponila.