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292 | dialoghi dei morti. |
mento, nel quale gli lasciava tutto il mio; acciocchè egli per cortesia facesse altrettanto a me.
Damnippo. E la fece egli?
Cnemone. Quel che scrisse nel suo testamento non so: io morii di subito, per un tegolo che mi cadde sul capo. Ed ora Ermolao ha il mio; come un pesce cane, ha inghiottita l’esca e l’amo.
Damnippo. E il pescatore, aggiungivi. L’inganno è cascato su l’ingannatore.
Cnemone. Lo so: e però piango.
9.
Similo e Polistrato.
Similo. Infine anche tu, o Polistrato, se’ venuto tra noi, dopo di aver vissuto un cent’anni, credo.
Polistrato. Novantotto, o Similo.
Similo. E come hai vissuto i trenta dopo di me? io ti lasciai di un settanta.
Polistrato. Assai piacevolmente: benchè ti parrà maraviglia.
Similo. Maraviglia sì: eri vecchio, malsano, anche senza figliuoli, che dolcezze potevi gustar nella vita?
Polistrato. Io poteva tutto: io avevo molti e leggiadri fanciulli, io bellissime donne, e unguenti, e vini fragranti, e mense altro che le siciliane.
Similo. Oh, questa è nuova, io ti sapevo molto parco.
Polistrato. Ma tutto questo fiume di beni mi veniva dagli altri, o caro mio. La mattina per tempissimo innanzi alla mia porta era gran folla, e mi portavano varii e bellissimi doni d’ogni parte della terra.
Similo. Diventasti tiranno, o Polistrato, dopo la mia morte?
Polistrato. No: ma ebbi mille amadori.
Similo. Canzoni: amadori tu così vecchio e con quattro denti in bocca?