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22 | intorno la vita e le opere di luciano. |
vano la guerra furiosa e sterminatrice, e dissero che Marte era tracio non greco. I Romani lo fecero padre di Romolo. La terra ove il Greco viveva, le rive della Sicilia e dell’estrema Italia, i monti dell’Ellade, le isole dell’Egeo, e i lidi dell’Asia furono la patria sua e de’ suoi numi: e non pure le città, ma i monti e i boschi e i fiumi e gli alberi erano sacri a qualche iddio, serbavano memorie di sventure, di amori, di gioie. Una degli uomini e degli Dei è la stirpe, e d’una madre viviamo, diceva Pindaro (nella ode 6ª delle Nemee): l’uomo aveva animata tutta la natura, e la natura rispondeva con mille voci all’uomo, il quale veramente le udiva e le sentiva, perchè erano le voci dell’anima sua. Quest’anima sì bene armonizzata di sentimento e di fantasia creò la religione e l’arte egualmente belle, come due gemine sorelle che vivono d’una madre, per modo che nella religione era tutta la vaghezza artistica, e nell’arte tutta la solennità religiosa. Però la religione ebbe per sacerdoti gli artisti; ed essa ispirò i poemi d’Omero e di Esiodo, le tragedie di Eschilo e di Sofocle, le odi di Pindaro e d’Anacreonte, il Giove di Fidia, la Venere ed il Cupido di Prassitele: e però il popol greco teneva come sacri i libri dei suoi poeti, li serbava a mente e li cantava, gl’intendeva e li credeva pienamente. I Romani per contrario tenevano sacri i libri sibillini e di Numa, scuri, segreti, letti solamente da pochi patrizi, e interpetrati secondo l’interesse dello stato. Questa credenza nel popol greco era dunque naturale e necessaria, perchè il bisogno di credere è potente in noi quanto quello di pensare: e doveva credere nei poeti, perchè quella religione, più di
trappolerie nel mercanteggiare. Il greco Ermete è da ἔρω, dico, onde nascono molte parole greche che significano parlare, interpretare, eloquenza ec.