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dialoghi dei morti. | 291 |
lunghe, e il vecchio viveva più di Titone, trovai una certa scorciatoia per venire all’eredità: comperai un veleno, e persuasi un suo coppiere, come prima Tiodoro cercherebbe da bere quel vinetto con cui egli suole sempre rinfrescarsi, di tener pronto il veleno, gettarlo nella tazza, e porgergliela. E gli promisi, se facesse questo, di dargli la libertà.
Zenofante. E che avvenne? Tu dici cosa molto strana.
Callidemide. Quando noi tornammo dal bagno, il garzone teneva pronte due coppe, l’una avvelenata per Tiodoro, l’altra per me: ma non so come scambiandole, diede l’avvelenata a me, e l’altra a Tiodoro: ei bevve, e pro: io tosto caddi, ed eccomi morto in vece sua. Ma che? tu ridi, o Zenofante? Sconviene deridere così un compagno.
Zenofante. Rido, che ti fu fatta una galanteria, o Callidemide. E il vecchio che fece?
Callidemide. Prima si turbò del caso subitano: poi capì, credo, come era andata, e rise anch’egli del tiro del suo coppiere.
Zenofante. Ma tu non dovevi prendere la scorciatoia: per la via grande ci saresti venuto più sicuro, benchè un poco più adagio.
8.
Cnemone e Damnippo.
Cnemone. Questo è il caso di quel proverbio: Il cerviatto la fa al leone.
Damnippo. Perchè se’ sdegnato, o Cnemone?
Cnemone. E mi dimandi perchè sono sdegnato? È stato un inganno crudele: a mio marcio dispetto ho lasciato uno erede: io m’aspettava il suo, e gli ho lasciato il mio.
Damnippo. Come è avvenuto?
Cnemone. Io facevo carezze ad Ermolao, gran ricco, senza figliuoli, e presso a morire; ed egli le accoglieva con piacere. Mi parve di fare una gran pensata a pubblicare il mio testa-