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288 | dialoghi dei morti. |
5.
Plutone e Mercurio.
Plutone. Conosci tu quel vecchio, quel gran vecchione, dico, quel ricco Eucrate, che non ha figliuoli, ed ha attorno almeno cinquantamila che uccellano alla sua eredità?
Mercurio. Sì: tu di’ quel di Sicione: ma perchè?
Plutone. Lascialo vivere, o Mercurio, oltre i novant’anni che ha, altrettanti, e, se è possibile, anche di più. E quei suoi adulatori, il giovane Carino, e Damone, e gli altri, afferrameli tutti ad uno ad uno.
Mercurio. Questa parrebbe una cosa strana.
Plutone. Ma giustissima. Perchè essi desiderargli la morte, o agognarne le ricchezze non essendogli parenti? E la maggiore malvagità loro è che, mentre gli desiderano questo, gli fan carezze in pubblico: se egli è ammalato, mostrano a tutti il pensiero che se ne danno; e si botano per farlo ristabilire; e trovan sempre nuove maniere di adulazioni. Onde egli non muoia; e coloro se ne vadano prima di lui con questo nodo in gola.
Mercurio. L’avranno a patir curiosa quei furfanti. Egli li pasce di grandi parole e di speranze; e par che sempre voglia morire, e sta meglio dei giovanotti. Essi già s’immaginano di spartir fra loro l’eredità, e di far vita grassa e lieta.
Plutone. E però egli svecchiando, come Jolao, ringiovanisca; ed essi nel bello delle speranze, lasciando la sognata ricchezza, vengano qui i tristi con trista morte.
Mercurio. Non dubitare: te li menerò ad uno ad uno tutti e sette, quanti credo che sono.
Plutone. Scopali: ed egli ad uno ad uno li accompagnerà al sepolcro, tutto ringalluzzito per gioventù.