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dialoghi marini. | 271 |
5.
Panope e Galene.
Panope. Vedesti, o Galene, ieri che fece la Discordia sul finir del banchetto in Tessaglia, perchè non vi fu convitata?
Galene. Io non fui a banchettar con voi, o Panope, chè Nettuno mi comandò di serbare in quel mentre tranquillo il mare. Ma che fece la Discordia, se ella non vi fu?
Panope. Già Teti e Peleo erano andati nel talamo, condottivi da Anfitrite e da Nettuno. La Discordia colse il tempo, e non veduta da nessuno (era cosa facile, chè chi beveva, chi schiamazzava, chi stava attento a udire Apollo sonar la cetera, le Muse cantare), gettò nella sala del banchetto un pomo bellissimo, tutto d’oro, o Galene, e con una scritta, che diceva: la bella l’abbia. Quello ruzzolò, e venne, come a posta, dove erano sedute Giunone, Venere e Minerva. Poichè Mercurio lo raccolse, e lesse la scritta, noi altre Nereidi non dicemmo una parola (e che ci conveniva fare quando c’erano quelle?); ma tra loro surse contesa, e ciascuna lo voleva essa: e se Giove non le avesse separate, sarien venute sino alle mani. Lo pregarono che diffinisse egli la lite, ma ei rispose: Di questo non voglio giudicare io; ma andato sull’Ida da Paride figliuolo di Priamo, il quale è fine conoscitor di bellezze, sa giudicarne, e non faria torto a nessuna.
Galene. E le Dee che hanno fatto, o Panope?
Panope. Oggi, credo, vanno sull’Ida; e qualcuno verrà in breve ad annunziarci la vittoriosa.
Galene. Te lo dico ora io: nessuna sarà superiore a Venere nel paragone; se pure il giudice non ha le traveggole agli occhi.