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dialoghi marini. | 269 |
3.
Alfeo e Nettuno.
Nettuno. Che è questo, o Alfeo? Tu solo tra quanti fiumi mettono in mare, non ti mescoli con le salse acque, come fan tutti gli altri, nè ti accheti diffondendoti, ma tutto unito e serbando la corrente dolce, corri puro ed intatto, attuffandoti non so dove, come i gabbiani e gli aghironi; e pare che vuoi riuscire in qualche parte e ricomparire.
Alfeo. È un affar d’amore, o Nettuno: e non volermene male; anche tu se’ stato innamorato molte volte.
Nettuno. Ed ami una donna, o Alfeo, o pure una ninfa, o una delle Nereidi?
Alfeo. Una fontana, o Nettuno.
Nettuno. Ed in qual paese ella scaturisce?
Alfeo. È un’isolana di Sicilia; e la chiamano Aretusa.
Nettuno. La conosco, o Alfeo: non è brutta Aretusa, è una polla d’acqua limpida e pura, che vassene sovra bei ciottolini, e pare tutta d’argento.
Alfeo. Veramente la conosci quella fontana, o Nettuno: or io me ne vado da lei.
Nettuno. Va pure; e buona fortuna in amore. Ma dimmi una cosa: dove mai tu vedesti Aretusa, se tu sei d’Arcadia, e di Siracusa ella?
Alfeo. Io ho fretta, e tu m’indugi, o Nettuno, con certe dimande che non ci han proprio che fare.
Nettuno. Dici bene: corri dalla tua diletta: e riuscendo del mare, mesciti in un letto con la fontana, e diventate entrambi un’acqua.