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IX.
DIALOGHI MARINI.
1.
Dori e Galatea.
Dori. Quel tuo bello innamorato, o Galatea, quel pastore siciliano dicono che sia impazzato di te.
Galatea. Non motteggiare, o Dori: infine è figliuol di Nettuno egli.
Dori. E che fa? fosse anche figliuol di Giove, quand’è così salvatico e peloso, e con quella gran bruttezza d’un sol occhio? Sai che gentilezza non fa bellezza.
Galatea. Quell’esser peloso e salvatico, come tu di’, non lo rende brutto, ma gli dà un’aria più maschile: e quell’occhio gli sta bene in fronte, e poi non ci vedria meglio con due.
Dori. Pare, o Galatea, che tu se’ più innamorata di lui, che egli di te, chè troppo lo lodi.
Galatea. Innamorata no: ma non posso patire che voi ne diciate tanto male; e mi pare che lo fate per invidia, perchè una volta che ei pascolava il gregge, vedendoci da un’altura che scherzavamo sul lido alle falde dell’Etna, dove tra il monte ed il mare si dilarga la spiaggia, a voi neppure riguardò, ma io gli parvi la più bella fra tutte, ed a me sola teneva fiso l’occhio. Questo vi cuoce: perchè è segno ch’io sono dappiù, e più degna d’amore; e voi da non essere neppure guardate.
Dori. Oh, paresti bella ad un pastore che ha un occhio, e credi di fare invidia? E che altro egli ha da lodare in te, se non che sei bianca? È usato a veder sempre cacio e latte; e tutto ciò che a questo somiglia gli pare bello. Se vuoi conoscere tu che viso hai, quando è calma, rimirati da uno scoglio nell’acqua, e vedrai non aver altro che un po’ di pelle bianca