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262 dialoghi degli dei.

convito ce ne andammo a letto bene alticci, in su la mezza notte si levò il prode, e.... ma mi vergogno a dirlo.

Apollo. Ti tentò, o Bacco?

Bacco. Appunto.

Apollo. E tu che facesti?

Bacco. Che altro, che riderne?

Apollo. Bene: ei non c’era da pigliarsela a male. E poi è scusabile: ti vide sì bello, e ti tentò.

Bacco. Oh per questo tenterebbe anche te, o Apollo: tu se’ sì bellino e con sì bella chioma, che Priapo anche senza d’aver bevuto ti abbrancherebbe.

Apollo. Ma non m’abbrancherà no, o Bacco: chè io ho la chioma ed una buona saetta.


24.

Mercurio e Maia.


Mercurio. Ed evvi, o madre, un dio in cielo più infelice di me?

Maia. Non dir questo, o Mercurio.

Mercurio. Come non dirlo? se le faccende m’affogano, se io solo debbo affaticarmi, e non basto a tanti servigi? La mattina, come mi levo, debbo spazzar la sala del banchetto, e rifare il letto, e rassettato ogni cosa, esser pronto ai cenni di Giove, e andare su e giù per istaffetta tutto il dì portando suoi ordini: e tornato, ancor polveroso come sono, mettermi a preparare l’ambrosia. Prima che ci fosse venuto questo garzone per coppiere, anche il nèttare doveva mescerlo io. La pena maggiore è che solo io fra tutti non posso dormire la notte, e mi conviene condurre le anime a Plutone, e far da guida ai morti, e star presente al tribunale. Non bastavan le faccende del giorno, andar nelle palestre, fare il banditore nei parlamenti, insegnare ai retori: mi mancava quest’altro rompicapo de’ morti. Almeno i figliuoli di Leda si danno lo scambio, e ciascun d’essi un giorno è in cielo, un giorno in inferno: io