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dialoghi degli dei. 261


Mercurio. E certamente abbranchi le capre.

Pane. Tu motteggi, io mi sollazzo con Eco, con Pite, e con tutte le Menadi di Bacco: e le mi vogliono un gran bene.

Mercurio. Sai, o figliuolo, che cosa mi farai gratissima, e che io richiedo da te?

Pane. Comanda, o padre; vediamo.

Mercurio. Vieni a me, ed abbracciami pure; ma guárdati di chiamarmi padre innanzi agli altri.


23.

Apollo e Bacco.


Apollo. E che diremo, o Bacco? che son fratelli nati d’una madre Amore, Ermafrodito, e Priapo, dissimilissimi tra loro per aspetto e per inclinazione? Uno tutto bello, e arciero, e rivestito di gran potere, è signore d’ogni cosa: l’altro è un personcino cascante, mezzo maschio, e a guardarlo non sai discernere se è garzone o donzella. Priapo ha quel del maschio anche troppo.

Bacco. Non è maraviglia, o Apollo. Non è Venere cagione di questo, ma i diversi padri che li han generati: anche da uno padre e da una madre spesso nascono chi maschio, e chi femmina, come voi due.

Apollo. Sì: ma noi siamo simili, abbiamo le stesse inclinazioni, ed ambedue trattiamo l’arco.

Bacco. Sino all’arco siete simili, o Apollo, e non più in là, chè Diana uccide forestieri in Scizia, e tu fai il profeta ed il medico.

Apollo. Credi tu che mia sorella goda a stare tra gli Sciti? Ella è deliberata, se capita qualche Greco in Tauride, di mettersi in mare e tornarsene con lui, essendole venute in orrore quelle uccisioni.

Bacco. Oh! così farà bene. Tornando a Priapo, ti dirò cosa da ridere. Non ha guari fui in Lampsaco, e passando per la città, egli mi accolse ed ospitò in casa sua, e poi che dopo il