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260 dialoghi degli dei.


Pane. Sono tuo bastardello, e nato d’amore.

Mercurio. Per Giove! bastardo forse di un becco e di una capra. Tu mio, se hai le corna, e cotesto naso, e la barba irsuta, e i piè forcuti e caprini, e la coda su le natiche?

Pane. Con queste ingiurie che dici a me, tu dimostri la bruttezza del figliuol tuo, o padre. Le stariano meglio a te, che sai far figliuoli di questo garbo. Che colpa ci ho io?

Mercurio. Chi tieni tu per madre? O mi sarei accozzato con una capra io?

Pane. Non una capra, ma ricòrdati bene, se mai in Arcadia facesti violenza ad una fanciulla libera. Ti mordi il dito: che cerchi? e non ricordi? La figliuola d’Icario, Penelope?

Mercurio. E perchè ella ti fece non simile a me, ma ad un caprone?

Pane. Ti dirò proprio le parole sue. Quando ella mi mandò in Arcadia, mi disse: O figliuolo, io sono tua madre Penelope Spartana; e sappi che hai per padre il dio Mercurio, prole di Maia e di Giove. Se tu hai le corna, ed i piedi forcuti, non dispiacertene; chè quando tuo padre mescolossi con me, per nascondersi, prese la simiglianza di un capro; e però tu se’ venuto simile al capro.

Mercurio. Per Giove! Mi ricordo di una certa scappata. Dunque io che vo superbo per bellezza, e sono ancora imberbe, sarò chiamato tuo padre; e a mie spese farò rider la gente per sì bella figliolanza.

Pane. Io non ti fo vergogna, o padre; chè io son musico, e so sonar la siringa molto bravamente. Bacco non può far nulla senza di me, e mi ha fatto suo compagno ed agitatore del tirso, ed io gli guido i balli. Se tu vedessi le greggie mie, quante ne ho in Arcadia e sul Partenio, ne saresti assai lieto. Io sono signore di tutta Arcadia. Ultimamente pòrsi un grande aiuto agli Ateniesi, e combattei con tanto valore a Maratona, che in premio mi diedero una spelonca sotto la cittadella. Se talora vieni in Atene, vi udirai chi è Pane.

Mercurio. Dimmi, hai tolto moglie, o Pane? così mi pare che ti chiamino.

Pane. No, o padre: io son focoso, e non sarei contento di una.