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256 | dialoghi degli dei. |
Paride. Tenteremo: come posso altrimente? Ma prima voglio sapere se basterà riguardarle così come stanno vestite, o converrà farle spogliare per contemplarle il più accuratamente.
Mercurio. Questo sta a te che se’ giudice, ordina come vuoi.
Paride. Come io voglio? Vo’ vederle nude.
Mercurio. Dispogliatevi: tu rimirale: io me ne ritorno.
Giunone. Bene, o Paride: e prima io mi spoglierò affinchè tu sappi che non ho soltanto le braccia bianche, nè vo superba per aver gli occhi di bue, ma che io sono tutta quanta bella.
Paride. Spògliati anche tu, o Venere.
Minerva. Prima che si spogli, o Paride, fa che ella deponga il cinto, che è incantato, affinchè ella non ti ammalii con esso. Per altro non bisognava venir qui tutta parata ed azzimata come una cortigiana, ma mostrar nuda la propria bellezza.
Paride. Han ragione pel cinto: deponilo.
Venere. E perchè anche tu, o Minerva, non ti togli l’elmo e non mostri il capo nudo, ma scuoti le creste, ed atterrisci il giudice? O temi che non paian brutti gli occhi cilestri senza la terribilità degli sguardi?
Minerva. Eccoti tolto l’elmo.
Venere. Ed eccoti il cinto.
Giunone. Dispogliamoci.
Paride. O Giove prodigioso! o vista! o bellezza! o voluttà! o come risplende questa vergine maestosa e pudica, e veramente degna di Giove! Che dolci sguardi ha costei, che soave ed attrattivo sorriso! Ma già mi sono beato a bastanza. Deh, vogliate che io vi rimiri ad una ad una, chè ora io mi confondo, e non so che riguardare, e gli occhi mi sono attratti da tutte le parti.
Venere. Così facciamo.
Paride. Discostatevi voi due: rimani tu, o Giunone.
Giunone. Rimango io. Rimirami prima attentamente, e poi considera se anche è bello il dono che io ti farò. Se tu giudicherai che sono io la bella, o Paride, tu sarai signore di tutta l’Asia.