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254 dialoghi degli dei.


Mercurio. Il vero non so dirtelo: ma si dee credere che, giovane com’è, si troveria a menar le mani, e vorria essere il primo nelle zuffe.

Venere. Vedi ora? io non ti rimprovero nè ti sgrido che parli segreto con costei. Sdegnerebbesi ogni altra; Venere no.

Mercurio. Ella mi dimandava quasi la stessa cosa: non averlo a male nè a dispregio, se così nella semplicità le ho risposto. Ma mentre parliamo così andando, abbiamo lasciato gli astri molto indietro, e siamo quasi sopra la Frigia. Io scorgo l’Ida, e tutto il Gargaro chiaramente; e, se non m’inganno, anche il vostro giudice Paride.

Giunone. Dov’è? io non lo discerno.

Mercurio. Qui, o Giunone, riguarda a sinistra, non su la cima del monte, ma su la costa, vedi quell’antro, quella mandra.

Giunone. Non vedo mandra.

Mercurio. Come dici? Non vedi i vitelli, lì, dove io dirizzo il dito, che escono di mezzo le pietre, e colui che scende di quel ciglione col vincastro in mano, e sforzasi di non far più sbrancare la mandra?

Giunone. Vedo ora: ed è quegli?

Mercurio. È desso. Ma poichè siamo già presso alla terra, discendiamo, se vi pare, e camminiamo, per non ispaurirlo volandogli addosso all’improvviso.

Giunone. Ben dici, e così facciamo. Ma poichè siamo discese, va innanzi, o Venere, e mostraci la via: tu devi ben conoscere la contrada, chè spesso ci sei venuta a trovare Anchise.

Venere. Io non mi sdegno per motti, o Giunone.

Mercurio. Vi guiderò io, che ho pratica dell’Ida: chè quando Giove amoreggiava quel suo garzoncello Frigio, io ci venni molte volte per suo comando a spiare il fanciullo: e quando egli era nell’aquila, io volavo con lui, e l’aiutavo a portar quel suo vago: e se ben mi ricorda, appunto da questo sasso ei lo ciuffò. Stava il fanciullo presso la greggia e fistoleggiava, Giove di dietro piombagli addosso, abbrancalo con gli artigli lievemente, e col becco tienegli la tiara sul capo, ed ei così traportato tremava, e torceva il collo per riguardarlo. Io al-