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dialoghi degli dei. | 245 |
fesa. Rea poi quando avria tempo di brigarsi di me, se ella pensa solo ad Ati? Ma infine che male fo io, che vi dimostro quale è il bello? Voi correte ad esso: dunque non incolpate me. Vuoi tu, o madre, non amare più? nè tu Marte, nè egli te?
Venere. Come sei tristo! come sforzi tutti! Ma ricòrdati talvolta de’ miei consigli.
13.
Giove, Ercole, ed Esculapio.
Giove. Finite, o Esculapio, o Ercole, di bisticciarvi tra voi, come fanno gli uomini. Questa è una indecenza, e sconviene al banchetto degli Dei.
Ercole. E vuoi, o Giove, che questo spezial meschinello abbia un posto più onorato del mio?
Esculapio. Certamente, chè io sono da più di te.
Ercole. Ed in che? Forse perchè Giove ti fulminò per le tue ribalderie, ed ora per pietà t’ha rifatto immortale!
Esculapio. A me rimproveri il fuoco? e dimenticasti, o Ercole, che di te fu fatto un falò sull’Oeta?
Ercole. Dunque tra la vita tua e la mia non v’è differenza. Io figliuol di Giove, io tante fatiche, io tanti benefizi agli uomini, combattere e domar fiere, punire scellerati, io; e tu? Tu sei un cavaradici, un cerretano, forse buono a mettere empiastri agli ammalati, ma non hai fatto mai cosa da uomo.
Esculapio. Dici bene, chè io ti sanai le scottature, quando testè mi venisti innanzi mezzo arrostito, che ti si erano attaccate addosso e la tunica ed il fuoco. Io almeno non fui servo, come te, non filai lana in Lidia, vestito di porpora e battuto da Onfale col sandalo ricamato d’oro; io non mai venni in tanto furore da uccidere figliuoli e moglie.
Ercole. Se non cessi d’insultarmi, tosto t’accorgerai che non ti gioverà molto l’essere immortale; che t’afferro e ti sba-