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dialoghi degli dei. 243

possiamo parlare); quegli non lasciava mai Rea sola nel letto, nè abbandonava il cielo per andare a dormire in Tebe: il giorno era giorno, e la notte misuratamente proporzionata alle stagioni: non ci eran novità e mutazioni: nè mai egli fece comunella con donne mortali. Ora per una misera femminella si deve stravolgere il mondo: i cavalli divenirmi ritrosi per ozio, la strada guastarsi per non essere battuta tre dì, ed i poveri uomini vivere nelle tenebre. Ecco frutto che godranno degli amori di Giove, star corcati ad aspettare ch’egli compia l’atleta che tu dici, ricoperti di sì lungo buio.

Mercurio. Zitto, o Sole, che non ti colga male per la lingua. Io vommene dalla Luna e dal Sonno, a dire quello che Giove m’ha commesso; alla Luna che non s’affretti di troppo; e al Sonno che non lasci gli uomini, affinchè non s’accorgano d’una notte sì lunga.


11.

Venere e la Luna.


Venere. Che si va bucinando di te, o Luna? che quando sei su la Caria fermi il cocchio per riguardare Endimione, il quale, come cacciatore, dorme allo scoperto; e che talvolta discendi a lui lasciando a mezzo il corso?

La Luna. Dimandane il figliuol tuo, o Venere: ei m’è cagione di tutto questo.

Venere. Oh che tristo! Anche a me che gli son madre quante ne fa egli! Ora mi fa scender sull’Ida per Anchise troiano; ora sul Libano presso quel garzonetto Assiro, del quale ha fatto innamorare anche Proserpina, e m’ha tolto metà di quell’amor mio. Più volte l’ho minacciato di spezzargli l’arco e la faretra, e di spennacchiargli l’ale: e già gli diedi una sculacciata col sandalo: ei piange, dice che nol farà più, ma non guari dopo si scorda di tutto. Ma dimmi, è bello Endimione? chè così il male ha un po’ di dolce.

La Luna. A me pare tutto bellissimo, o Venere, mas-