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236 | dialoghi degli dei. |
Giove. Non parlar male dei fanciulli, chè questo infemminito, questo barbaro, questo zanzero, mi è più caro e desiderato.... ma via, non voglio dirtelo per non farti andare più in collera.
Giunone. Di’ pure che te lo godi per far?... Ma ricòrdati quanti insulti mi fai per cotesto coppiere.
Giove. Oh lui no, ma dovevam farci mescere da Vulcano tuo figliuolo, zoppo, uscito della fucina, tutto bruciato di scintille, e che allora lascia le tanaglie? da quelle mani prendere la tazza e abbracciare intanto e baciare lui, che neppur tu, sua madre, avresti cuore di baciargli quella faccia lorda di fuliggine? Quegli era più leggiadro, non è vero? Quel coppiere conveniva assai meglio al convito degli Dei: bisogna rimandar tosto sull’Ida Ganimede, che è sì pulitino, sì grazioso nel presentar la tazza con quelle manine di rosa, e, quel che più ti duole, che dà baci più savorosi del nèttare.
Giunone. Ora è zoppo Vulcano, e non ha mani degne da porgerti la tazza, ed è pieno di fuliggine, e l’hai a schifo vedendolo, da quando l’Ida ci ha allevato questo bel zazzerino. Prima non le vedevi queste cose: nè le scintille, nè la fucina ti facevan rivolger la faccia quand’egli ti porgeva bere.
Giove. O Giunone, tu affanni te stessa con cotesta gelosia, e niente più; e cresci l’amor mio. Se ti spiace un bel fanciullo per coppiere, abbiti il figliuol tuo. Tu, o Ganimede, a me solo porgerai la tazza, ed ogni volta mi darai due baci, uno quando me la presenterai piena, ed un altro quando la riprenderai. Che è questo? tu piangi? Non temere: chi ti vorrà punto di male, guai a lui.
6.
Giunone e Giove.
Giunone. Quest’Issione, o Giove, per che uomo lo tieni?
Giove. Dabbene, o Giunone, e convivante nostro. Non saria con noi, se fosse indegno del nostro banchetto.