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dialoghi degli dei. | 235 |
5.
Giunone e Giove.
Giunone. Dacchè, o Giove, menasti qui quel garzonetto frigio che rapisti dall’Ida, non ti dái più pensiero di me.
Giove. E già t’ingelosisci, o Giunone, anche di lui sì semplice ed innocentissimo? Io ti credevo acerba alle sole donne che s’impacciano con me.
Giunone. Sta male e sconviene a te, che sei signore di tutti gli Dei, lasciar me tua legittima moglie, e discendere su la terra a trescar con le donne, divenendo ed oro, e satiro, e toro. Almeno quelle tue pratiche rimangono in terra: ma questo fanciullo Ideo l’hai rapito, o fortissimo degli Dei, ce l’hai messo in casa, e proprio in capo a me sotto nome di coppiere. Forse ci mancavan coppieri, ed Ebe e Vulcano sono già vecchi ed inutili? Tu non prendi la coppa da lui, se pria non lo baci al cospetto di tutti; e quel bacio ti sa più dolce del nèttare; però spesso non hai sete, e chiedi bere; e talvolta appena assaggi, e gli ridai la tazza, e mentre egli beve, gliela ritogli, e bevi il rimanente dove il fanciullo ha attaccate le labbra, sicchè tu e bevi e baci. Ieri tu, re e padre di tutte le cose, deposta l’egida ed il fulmine, sedevi a giocare a dadi con lui, ed hai tanto di barba. Tutto questo io lo vedo, e non credere che non capisca.
Giove. Che male è, o Giunone, baciare un fanciul sì leggiadro mentre si beve; e godere insieme e del bacio e del nèttare? Se gli permettessi di baciare una volta anche te, non mi riprenderesti più che io stimo il bacio più soave del nèttare.
Giunone. Tu parli come un fanciullaio.1 Non sarei io sì pazza da accostar le labbra a cotesto zanzero di Frigia, così molle e infemminito.
- ↑ Fanciullaio. Avrei potuto dir pederaste, e serbare la stessa parola del testo: ma ho voluto usare, anzi coniar questa, che parmi più conforme all’indole della lingua italiana, nella quale abbiamo altre parole simili. A chi non piace questa parola nuova, vi metta la vecchia greca, o altra, se la sa, migliore.