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234 | dialoghi degli dei. |
cosa è che tu non sarai più uomo, ma immortale: ed io farò risplendere bellissima la tua stella; e infine tu sarai beato.
Ganimede. E se vorrò giocare, chi giocherà con me? Sull’Ida eravam tanti compagni.
Giove. Anche qui avrai un compagno, che, vedilo, è Amore, e giocherete insieme a dadi. Però fà cuore, stà lieto, e non pensare alle cose di laggiù.
Ganimede. E che mi farete fare? avete bisogno d’un pastore anche qui?
Giove. No; tu mi mescerai, avrai cura del nèttare, e d’apparecchiare il convito.
Ganimede. Questo non m’è difficile; chè io so come si versa il latte, e come si serve nella tazza d’ellera.
Giove. E rieccolo al latte: egli crede di servire agli uomini. Qui è il cielo, e t’ho detto che noi beviamo il nèttare.
Ganimede. Ed è più dolce del latte, o Giove?
Giove. Lo saprai or ora; e quando l’avrai gustato, non desidererai più il latte.
Ganimede. E dove dormirò la notte? forse col mio compagno Amore?
Giove. No; i’ per questo t’ho rapito, per farti dormire con me.
Ganimede. Ah, non potresti star solo, e però hai piacere di dormire con me.
Giove. Sì: e poi tu se’ sì vago, o Ganimede, se’ sì bello!
Ganimede. E che ti fa la bellezza pel sonno?
Giove. Gli dà maggior dolcezza, lo fa venir più soave.
Ganimede. Eppure il babbo si dispiaceva quand’io mi corcavo con lui, e la mattina contava che io lo svegliavo rivoltandomi, dando calci, e parlando nel sonno: onde spesso mi mandava a dormir con la mamma. Or vedi, se tu dici di avermi rapito per questo, di ripormi in terra: se no, tu starai svegliato, chè io ti molesterò continuamente rivoltandomi.
Giove. Questo sarà il più gran piacere che mi darai, se io veglierò con te baciandoti spesso ed abbracciando.
Ganimede. Te lo vedrai tu: io dormirò, io, e tu bacerai.
Giove. Vedremo allora il da fare. Ora, o Mercurio, menalo teco, e fattagli bere l’immortalità, riconducilo a noi coppiere, che abbia prima imparato come si deve porger la tazza.