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224 prometeo.


Mercurio. Non hai fatto alcun male, o Prometeo? Primamente quando avevi l’uffizio di spartire le carni, facesti parti ingiuste e l’inganno di serbare il meglio per te, e di mettere innanzi a Giove ossa nascoste sotto bianco grasso. Mi ricorda che Esiodo ha detto così. Dipoi hai formati gli uomini, maliziosissimi animali, specialmente le donne. Infine hai rubato il fuoco, possessione preziosissima degli Dei, e l’hai dato agli uomini. Hai fatti questi gran mali, e dici che sei incatenato senza veruna colpa?

Prometeo. Pare, o Mercurio, che anche tu, come dice il poeta, incolpi un incolpabile: che mi accusi di tali cose per le quali, se vi fosse una giustizia, io sarei giudicato degno d’essere nutrito dal pubblico nel Pritaneo. Se tu avessi tempo, io vorrei chiarirti come son false queste accuse, e dimostrarti come Giove è ingiusto verso di me. E tu che sei sì bel parlatore e difensore di cause, difenderai poi anche questa, sì, dirai che ha fatto un giudizio giusto, a mettermi in croce presso queste porte Caspie, sul Caucaso, e farmi miserando spettacolo a tutti gli Sciti.

Mercurio. Troppo tardi, o Prometeo, vuoi appellarne, e senza pro: ma di’ pure; tanto è, io debbo rimaner qui finchè non discenda l’aquila a conciarti il fegato; mi piace d’impiegar questo tempo a udir ragionare un sofista sì scaltrito come se’ tu.

Prometeo. Parla tu primo, o Mercurio: fammi un’accusa gagliarda, e non tralasciar mezzo per difendere tuo padre. E te, o Vulcano, io prendo a mio giudice.

Vulcano. Giudice? altro! io sarò tuo accusatore. Tu mi rubasti il fuoco, e mi lasciasti fredda la fucina.

Prometeo. Bene: dividerete l’accusa: tu parlerai di questo rubamento: e Mercurio m’accuserà d’avere formati gli uomini, e male spartite le carni. Tutti e due siete valenti, e vi sta bene la lingua in bocca.

Vulcano. Mercurio parlerà anche per me: cose di tribunali non ne so io, di fucina sì, te ne direi quante ne vuoi: egli è oratore, e di queste cause ne ha avute per mano.

Prometeo. Non avrei mai creduto che Mercurio volesse parlar di furto, ed accusar me di ciò che è arte sua ancora.