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VI.

L’ALCIONE,

o

DELLA METAMORFOSI.



Cherefonte e Socrate.


Cherefonte. Che voce è questa, Socrate, che lontana ci viene dal mare, e da quello scoglio? Cornee dolce a udire? E qual è l’animale che ha questo canto? Gli abitatori delle acque son muti.

Socrate. È un uccel marino, Cherefonte, detto Alcione, che ha questa voce di pianto e di lamento: e intorno ad esso contasi un’antica favola. Dicono che una volta egli era donna, figliuola di Eolo l’Elleno, donzelletta che si struggeva d’amore e si disfaceva in pianto perchè le morì lo sposo Ceice di Trachinia, prole dell’astro Lucifero, di bel padre bel figliuolo; e che dipoi essendole spuntate le ali per volere divino, e mutata in uccello, andò scorrendo il mare in cerca del suo diletto, che ella per tutta la terra non avea potuto trovare.

Cherefonte. E questo è l’Alcione? Io non ne avevo mai udita la voce, che ora m’è stata nuova. Oh, mi lascia veramente un eco di pianto nell’anima! E quanto è grande questo uccello, Socrate?

Socrate. Non molto; ma molto onore ebbe dagli Dei per l’amore che ella portò al marito: che, per farle fare il nido, il mondo reca alcuni giorni, detti alcionii, placidi e sereni in mezzo del verno: ed oggi è uno di quei giorni. Non vedi come è sereno il cielo, ed il mare tranquillo e cheto, che pare uno specchio?

Cherefonte. Ben dici: Ei pare che oggi sia un giorno alcio-