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a dure fatiche, e parlandomi francamente il vero, m’ha dato il necessario per mezzo del lavoro, e m’ha insegnato spregiare tutte quelle superfluità, e riporre in me stesso le speranze della vita mia: e mi ha mostrato che questa è ricchezza, ed è mia, e non potrebbero tormela giammai nè lusinghieri adulatori, nè tristi calunniatori, nè popolo furioso, nè giudice corrotto, nè insidioso tiranno. Rinvigorito dalla fatica io coltivo a grande amore questo campo, non vedo i mali della città, e la zappa mi dà quel che mi basta. Onde ritornati, o Mercurio, e rimena Pluto a Giove. Io non vorrei altro che far piangere tutti gli uomini.

Mercurio. Oh, caro mio, non tutti hanno voglia di piangere. Ma non fare il fanciullo ritroso, raccogli Pluto. Non si deve spregiare i doni di Giove.

Pluto. Vuoi udire, o Timone, due parole in mia difesa; ti dispiace ch’io parli?

Timone. Di’, ma due, veh, e senza i proemii di quei mariuoli di oratori. Se sarai breve, t’udirò per amor di Mercurio.

Pluto. Eppure io avrei molto a dire, perchè tu mi dai molte accuse. Vedi s’io t’ho fatto il male che tu dici. Io ti ho dati piaceri d’ogni sorte, onori, primi seggi, corone; e per me tu eri riguardato, celebrato, riverito. Se ti cuoce la malvagità de’ tuoi adulatori, non ci ho colpa io: anzi io sono stato offeso da te, che mi spargevi tra quei ribaldi che lodavano te, e furbescamente tendevan trappole a me. Infine mi chiami traditore che t’ho piantato; al contrario potrei io accusar te che hai adoperato ogni modo per iscacciarmi di casa tua, e mi hai gittate a capo in giù dalla finestra. E però invece della fine clamide, la Povertà, che tu pregi tanto, t’ha messo cotesto pelliccione in dosso. Ma Mercurio qui è testimone come io pregavo Giove a non mandarmi da te, che m’odii e non mi puoi patire.

Mercurio. Vedi, o Pluto, come s’è già rabbonito? Non aver più paura, e rimanti con lui. Seguita a zappare, o Timone. E tu, Pluto, fagli venir sotto la zappa il Tesoro, che verrà alla tua voce.

Timone. È forza ubbidire, o Mercurio, e tornar ricco.