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timone. | 211 |
rivo il corpo, gli schiarivo ed aguzzavo lamento; lo feci viver da uomo, ripensare a sè stesso, conoscere le superfluità e spregiarle.
Mercurio. Vanno via: facciamoci verso di lui.
Timone. Chi siete voi, o malvagi? che volete? perchè venite a sturbare uno che fatica? Andatevene con la malora, siete tutti furfanti: o io con queste piote e questi sassi farò polvere di voi.
Mercurio. No, o Timone: pon giù i sassi; non percuoteresti uomini: io son Mercurio, e questi è Pluto: ci ha mandati Giove, che ha udita la tua preghiera: apri dunque il seno alla buona fortuna, e lascia la fatica.
Timone. Alla malora anche voi, che dite esser Dei: tutti ed uomini e Dei io abborrisco. E cotesto cieco, chiunque egli sia, voglio proprio accopparlo con la zappa.
Pluto. Torniamo a Giove, o Mercurio. Costui è un pazzo arrabbiato: aspettiamo che ci faccia qualche cattivo giuoco?
Mercurio. Non fare sciocchezze, o Timone; smetti cotesta asprezza salvatica, apri le braccia alla buona fortuna, ritorna ricco, sii il primo degli Ateniesi, e fa crepare quegl’ingrati non dando loro una briciola della tua ricchezza.
Timone. Non ho bisogno di voi: m’avete già fradicio: la zappa è la ricchezza mia. Per tutt’altro sarò felicissimo, se non vedo nessuno.
Mercurio. Ma così da bestia?
Cotesti detti iogiuriosi e crudi
Posso a Giove ridir?
Che tu odii gli uomini, che t’han fatto tanto male, passi pure: ma gli Dei, no, che han tanta cura di te.
Timone. Ringrazio assai te e Giove di cotesta cura: ma non voglio riprendere Pluto.
Mercurio. E perchè?
Timone. Perchè la cagione di tutti i mali miei è stato egli: egli m’ha dato in mano agli adulatori, m’ha condotto ai loro tranelli, m’ha corrotto coi piaceri, m’ha fatto invidiare, m’ha fatto odiare, ed infine il perfido m’ha piantato o m’ha tradito. La buona Povertà, per contrario, esercitandomi