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208 | timone. |
chezza a stenti raccolta con tanti spergiuri e furti e scelleratezze.
Mercurio. Così accade quasi sempre. Ma quando tu cammini co’ piedi tuoi, come fai, se sei orbo, a trovare la via? come distingui coloro a cui Giove ti manda, e che crede degni di arricchire?
Pluto. Pensi tu ch’io mi dia questa pena? Altro!
Mercurio. È vero, per Giove. Certo non avresti lasciato Aristide, per andare da Ipponico, da Callia, e da molti altri Ateniesi, che non son degni di avere neppure un obolo. Ma che fai quand’hai una commissione?
Pluto. Vo su e giù vagando alla ventura, finch’io m’abbatta in qualcuno. Quegli che prima m’incontra, mi mena a casa sua, e poi ringrazia te, o Mercurio, della inaspettata fortuna.
Mercurio. Dunque Giove è ingannato credendo che tu secondo il suo volere arricchisci quelli che egli stima degni di arricchire?
Pluto. Ei lo vuole, caro mio. Ei sa che son orbo, e mi manda a cercar cosa si difficile a trovarsi, e che da molto tempo non è più su la terra, e non la troveria Linceo; cosi è piccola ed impercettibile. I buoni sono pochissimi; i malvagi formicolano nelle città, ed hanno in mano il tutto: è più facile che questi m’incontrino, e mi piglino nella loro rete.
Mercurio. E quando li abbandoni, come fuggi sì ratto, se non sai la via?
Pluto. Ho la vista acuta e le gambe leggiere sol quando debbo fuggire.
Mercurio. Deh, dimmi un’altra cosa. Tu se’ cieco (non si può negare), tu giallo, tu sciancato, come hai tanti amadori? Come tutti guardano te, e chi ti ottiene si stima beato, chi no, mena smanie e vuol morire? Conosco molti tanto innamorati di te, che
Da un alto scoglio nel profondo mare
Per disperati sì vanno a gettare,1
credendosi sprezzati da te, e non guardati neppure una volta.