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182 | il sogno. |
mancò e non mi rovinava la consulta fatta su di me. Questo mi ricorda ch’io sognai essendo ancor garzonetto, turbata la mente, cred’io, dal timore delle busse.
Ma qui taluno m’interrompe, e dice: Oh, che sogno lungo, e proprio sogno d’avvocato! Un altro soggiunge: Gli è un sogno d’inverno, quando sono sì lunghe le notti; e forse fu fatto in tre notti, come Ercole.1 Come è venuto in mente a costui contarci queste fanfaluche, e ricordare i sogni della fanciullezza? Le son cose rifritte coteste. O ci ha preso egli per disfinitori di sogni? — No, caro mio. Senofonte quando narrava quel suo sogno, come gli pareva che s’era appiccato il fuoco alla casa paterna, e il resto che sai,2 non raccontava egli quella visione come una fiaba, o con intenzione di scherzare, massime allora che la guerra gli ardeva intorno, i nemici l’accerchiavano, e non c’era scampo; ma quel racconto aveva un certo utile. Così anch’io v’ho raccontato questo mio sogno, affinchè i giovani si volgano al meglio, e si diano all’eloquenza, specialmente se alcuno di essi, scorato dalla povertà, inclinasse al peggior partito, e lasciasse guastare una natura non ignobile. Ei si conforterà a questo racconto, e avrà innanzi agli occhi l’esempio mio, pensando chi era io quando feci il buon proponimento e mi diedi a studiare eloquenza, senza temere le strette della povertà d’allora, e chi sono ora che a voi ritorno, non dico altro, tanto famoso quanto ogni altro scultore.