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intorno la vita e le opere di luciano. 153

senza odio, pare più vero. Quel patrizio romano, bravo nelle faccende di governo, ma sì perduto di superstizioni, che se pur vedeva una pietra unta di olio o con una corona sopra, tosto smontava del cocchio e adorava e pregava per molte ore; che mette sossopra tutta Roma e la corte parlando del nuovo oracolo, e spedisce corrieri sopra corrieri a consultarlo; che, vecchio com’è, sposa la figliuola di Alessandro; e che dopo la morte di costui non ardisce di succedere egli al profeta, nè vuole che altri gli succeda, è un uomo vero e vivo con tutti i vizi e la virtù d’un Romano di quel tempo, e tu ne ridi come ne rideva Luciano, ma senza odiarlo. Nondimeno l’asprezza con cui è trattato Alessandro non offende la verità della narrazione, perchè certamente colui fu un impostore; ed un impostore è sempre un tristo: vi può essere un po’ di colorito soverchio, ma il disegno della pittura è vero. Lo stesso animo generoso dettò la vita di Demonatte e quella di Alessandro; ammirò il savio dabbene, e abborrì l’impostore ribaldo. Nella giovanile baldanza combattè e smascherò i furbi; nel senno virile, accortosi di non potere contrastare alla piena dell’ignoranza e della malizia unite insieme, se ne trasse fuori, e con amaro sorriso vendicò la verità offesa, e ne infamò in perpetuo gli offensori.

LXXXVI. Prendendo occasione dai Sacrifizi che si facevano agli Dei, si ragiona con molta piacevolezza delle favole che i poeti avevano inventate intorno a tutte le Divinità, ed il volgo credeva cecamente; e poi dei templi e delle statue. E prendendo occasione dal Lutto che si faceva pei morti, si ragiona delle favole e delle divinità dell’inferno, e dei riti che si serbavano nei funerali. L’una e l’altra scrittura, intitolate Dei Sacrifizi, e del Lutto non mancano di motti, e dimostrano che lo scrittore si rideva delle comuni credenze; ma