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146 intorno la vita e le opere di luciano.

tare l’Olimpo de’ Greci. Giove chiama un parlamento come quelli che si facevano in Atene, e fa che il banditore dimandi chi degli Dei perfetti, a cui è permesso per legge, vuol parlamentare. Si leva Momo, e dice: che la gran folla de’ forestieri in cielo è ormai insopportabile, e vi ha fatto incarare il prezzo dell’ambrosia e del nettare: che Bacco vi ha condotto una truppa di villani, di caprai, di brutti figuri, di bagasce, ed una di queste anche con un cagnolino: che non tutti gli Dei che si tengono per cittadini veraci, sono tali; e Giove stesso non si sa se è tale, perchè si tiene che sia sepolto in Creta: che Giove coi suoi amorazzi ha empiuto il cielo di bastardi, ed ogni dea ha voluto condurvi il suo ganzo, ed ogni dio il suo mignone. Gli dei dei Goti e degli Sciti si conoscono al vestito: ma che vuol dire che sono nell’Olimpo anche il toro di Menfi, e le scimmie, e i cani, e gl’ibi, e i becchi, e gli altri dii egiziani? E lasciando questi mistici egiziani, come si può sopportare che ogni impostore e furfante che muore, è fatto iddio, e dà oracoli, e gli si rizzano are, e gli si offrono corone? Infine, come se fossero pochi tutti questi, i filosofi hanno inventato certi vuoti nomi, come la Virtù, la Natura, il Fato, la Fortuna, e ne hanno fatto altri iddii. Però Momo propone un decreto, nel quale si ordina che chiunque si tiene Dio vero debba provare la sua divinità con buoni e validi documenti innanzi sette arbitri giurati, che saranno scelti tre dal vecchio consiglio di Saturno, e quattro dai Dodici; i quali esamineranno i titoli di ciascuno, la patria, il padre, la madre, ogni cosa: ai filosofi vietato di foggiar nomi, e ragionare di cose che non conoscono. Giove approva da sè il decreto, il quale se fosse messo a partito sarebbe ributtato da molti voti contrari; ed annunzia che gli arbitri faranno giustizia senza ri-