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intorno la vita e le opere di luciano. 111

mila zecchini per tre declamazioni. Ma l’ingegno, la bontà, e i benefizi non lo salvarono dall’invidia. Suo padre avea lasciato per testamento una mina a ciascun ateniese ogni anno. Egli fece un accordo, e ne pagò cinque una volta sola, ma ne sottrasse quello che alcuni dovevano a suo padre: di qui nacque grand’ira contro di lui, ed il popolo gliene volle sempre male. Teodoto, già suo discepolo, Prossagora, e Demostrato, suoi nemici, per attizzare più quest’ira, scrissero orazioni contro di lui, e lo accusarono a Marco Aurelio, come ambizioso che macchinava contro lo Stato. Egli andò a Sirmio, dove era Marco, si purgò delle accuse, e fece punire i suoi calunniatori: ma addolorato e noiato della ingratitudine de’ suoi cittadini, si ritirò nella villa Cefisia presso Maratona, e lì visse solitario fra pochi discepoli. Marco Aurelio gli scrisse una lettera nella quale lo assicurò della sua stima: ma nulla valse a consolarlo, perchè egli era uomo che si lasciava abbattere dal dolore.1 Quando perdette la moglie Regilla, ed il liberto Polluce, mortogli nel fiore degli anni, si abbandonò al più stemperato dolore, si chiuse per non vedere più la luce, fece le più strane spese, comandò si tenesse sempre pronto un cocchio coi cavalli, come se il giovane dovesse montarvi, e sempre imbandito un banchetto, come se la moglie e Polluce dovessero banchettare. Onde il filosofo Demonatte lo motteggiava di quella mollezza nel dolore, e diceva che Erode aveva due anime, con una faceva quelle pazzie, e con l’altra componeva belle declamazioni (V. la Vita di Demonatte). Si crede sia morto di settantasei anni, nel 180.

  1. V. Atticus nel Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, edited by William Smith, London 1849. — Mémoire sur la vie d’Hérode Atticus, par M. de Burigny nel t. XXX delle Mém. de l’Ac. des Inscriptions.