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intorno la vita e le opere di luciano. 107

di Nerone: e non è cosa di Luciano affatto. Entrambi questi dialoghi, e quasi tutti gli altri che noi abbiamo scartati e scarteremo, sono tenuti per genuini dal Wieland, dotto uomo, il quale ha fatto una traduzione delle opere di Luciano, che dai suoi Tedeschi è stimata un capo d’opera. Io non so, nè ho modo di sapere le ragioni avute da quel valentuomo per formarsi questa opinione, che ad altri dotti Tedeschi, ed al Weise non piace sempre: e però mi attengo al mio giudizio, e lo espongo schiettamente, e con la coscienza di averci pensato e studiato.

LXVI. Opere satiriche. Sono tutte dialoghi, eccetto il Peregrino, che però sarà esaminato a suo luogo.

Cominciam dal Timone, tenuto giustamente per uno dei più belli, dei più eleganti, e finiti per forma. Ne diremo un poco a lungo, perchè se esso non sarà bene inteso, parrà discordante da tutte le altre opere di Luciano, un capriccio d’arte, senza ragione, e senza vera bellezza. Timone in poco tempo divenuto ricchissimo (νεοπλοῦτος, cap. 7) avendo sparso e sparnazzato ogni cosa in beneficare ed arricchire moltissimi Ateniesi, abbandonato da tutti, e ridotto dall’ultima miseria a zappare la terra, si volta aspramente a Giove e gli dice un gran vitupero. L’ode Giove, e invece di sdegnarsi, si dispiace di aver trascurato un uomo dabbene e religioso: ma le tante faccende, e lo scompiglio che è nel mondo l’hanno impedito di guardare su l’Attica, dove le grandi chiacchiere dei filosofi non fanno udire le preghiere: e però gli è avvenuto di non badare a quest’uomo che non è tristo (οὐ φαῦλον ὄντα, cap. 9). Intanto comanda a Mercurio di andare a prendere Pluto, che rechi un tesoro a Timone. Pluto non vuole andare, perchè è stato offeso da Timone, e sparpagliato pazzamente. Io ero amico di suo padre, ed egli mi ha scacciato di casa, mi ha gittato