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106 intorno la vita e le opere di luciano.

dall’una all’altra fosse più facile. La poca correzione della forma, e la farragine delle notizie, che pure non ci danno un’idea compiuta dell’arte mimica degli antichi, fanno dubitare se questo dialogo sia di Luciano: vi manca la sobrietà, la schiettezza, il senno, e le grazie che sono nelle opere genuine.

LXV. Il Caridemo ed il Nerone ultimi di tutte le opere, non appartengono a Luciano, neppure secondo il giudizio dei copisti: perocchè in fine del primo sta scritto in greco: Nè questo pare di Luciano; ed in capo del secondo è scritto: Se genuino.

Il Caridemo contiene tre discorsi su la bellezza, e non v’è dialogo men bello di questo, povero di pensieri, e di arte, e scorretto di lingua. A molti dotti uomini, fra i quali al Gesnero, pare una esercitazione scolastica e quasi puerile, un cattivo raffazzonamento del panegigirico d’Isocrate in lode di Elena.

Nel Nerone il filosofo Musonio confinato nell’isola di Lenno[1] discorre con un suo amico del tentativo che fece Nerone a cavar l’istmo di Corinto, non ostante la credenza sparsa che i matematici egiziani avessero trovato il mare nel golfo di Corinto superiore a quello del golfo d’Atene. La quale credenza, rigettata da Musonio come una sciocchezza, è corsa anche nei tempi nostri, e sino a ieri si è creduto che il mar rosso fosse superiore al Mediterraneo. Poi parla della voce di Nerone, dei gesti con cui. accompagnava il cantare e il citarizzare, e del fatto di un tragediante che aveva bella voce e non gli voleva cedere, ed egli lo fece dai suoi cagnotti scannare sul teatro innanzi a tutti i Greci. Mentre così ragionano, s’avvicina una nave che reca la novella che Nerone è morto. La dizione di questo dialogo è dura e studiata, e in molte parti scura e sforzata appunto come la voce

  1. V. Tacito negli Annali, cap, 71 del libro XV.