No, ma il cercare di peggiorarla, come farei io a tornare uomo: sì perchè io mi vivo con piacere grandissimo in questo grado, e in questa specie; dove essendo uomo, non farei così, ma viverei in continui affanni ed in fatiche insopportabili, de le quali è abbondantissima la natura umana.
Ulisse.
E chi t'ha insegnato questa sì bella cosa? Questo ignorante di questo pescatore con chi io ho parlato ora, eh?
Talpa.
Ei me l'ha pure insegnato l'esperienza, maestra di tutte le cose, mediante però l'arte ch'io faceva.
Ulisse.
Ed in che modo ti ha dimostrato la sperienza, che noi siamo più infelici e più miseri di voi?
Talpa.
Io te ne voglio dire una sola de le miserie che io (come io t'ho detto) conobbi chiaramente per mezzo de lo esercizio mio: da la quale tu ne potrai dipoi trar di molte altre da te stesso, che non saran di minor valore di questa.
Ulisse.
E che arte fu quella che tu facevi, che ti fece conoscere cosa tanto falsa? Di' su un poco.
Talpa.
Lavorare la terra.
Ulisse.
Oh, io ti so dire che io son saltato in piedi a uscire de le mani d'un pescatore, ed entrare in quelle d'un contadino; che, se non esce de la natura sua, sarà molto meno capace de la ragione.
Talpa.
Ulisse, non mi ingiuriar di parole, chè ogni uomo è uomo; ed avvertisci più tosto a quel ch'io dico, perchè se tu lo considererai bene, tu ti pentirai forse che Circe non t'abbia trasmutato ancora te in qualche fiera, come ella ha fatto noi.
Ulisse.
Or dì su, ch'io non bramo altro certamente.
Talpa.
Quale animate ritruovi tu in questo universo, o vuoi d'acqna o di terra, de' quali son quasi infinite le specie, che la terra non gli produca per sè stessa con che cibarsi, eccetto che a l'uomo? Il quale, se vuole che ella gli produca il suo cibo come gli altri, conviene che egli la lavori e la semini, con fatiche grandissime, con le sue mani.
Ulisse.
Questo errore nasce da lui, che vuol nutrirsi di troppi delicati cibi; ma se e' volessi vivere de' frutti che quella produce per sè stessa, come hanno gli altri animali, questo non gli avverrebbe.