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personaggi egli aveva raccolte, et ad imitazione di Platone spiegate in dialogo, introducendo quivi a parlare il suddetto Sig.r Sagredo et il Sig.r Filippo Salviati, soggetti di vivacissimo spirito, d'ingegno libero e suoi carissimi confidenti.

Ma essendosi già il Sig.r Galileo per l'altre sue ammirabili speculazioni con immortal fama sin al cielo inalzato, e con tante novità acquistatosi tra gl'uomini del divino, permesse l'Eterna Providenza ch'ei dimostrasse l'umanità sua con l'errare, mentre nella discussione de' due sistemi si dimostrò più aderente all'ipotesi Copernicana, già dannata da S. Chiesa come repugnante alla Divina Scrittura. Fu perciò il Sig.r Galileo, dopo la publicazione de' suoi Dialogi, chiamato a Roma dalla Congregazione del S. Offizio: dove giunto intorno alli 10 di Febbraio 1632 ab Incarnatione, dalla somma clemenza di quel Tribunale e del Sovrano Pontefice Urbano Ottavo, che già per altro lo conosceva troppo benemerito alla republica de' letterati, fu arrestato nel delizioso palazzo della Trinità de' Monti appresso l'ambasciador di Toscana, et in breve (essendogli dimostrato il suo errore) retrattò, come vero catolico, questa sua opinione; ma in pena gli fu proibito il suo Dialogo, e dopo cinque mesi licenziato di Roma (in tempo che la città di Firenze era infetta di peste), gli fu destinata per arresto, con generosa pietà, l'abitazione del più caro et stimato amico ch'avesse nella città di Siena, che fu Mons.r Arcivescovo Piccolomini: della qual gentilissima conversazione egli godé con tanta quiete e satisfazione dell'animo, che quivi ripigliando i suoi studii trovò e dimostrò gran parte delle conclusioni meccaniche sopra la materia