Dove ch’a un Dottor bisognerebbe
Dargli la mala pasqua col mal anno, 219A voler far quel ch’ei meriterebbe.
Non so come non crepi dall’affanno,
Quand’egli ha intorno a sè diciotto o venti, 222Che per udirlo a bocca aperta stanno.
A me non par egli essere altrimenti,
Che sia tra’ pettirossi la civetta, 225O la Misericordia tra i Nocenti.
E n’ho avuto a’ miei dì più d’una stretta,
E però, Toga, va pur in buon’ora, 228Vattene in pace, che sia benedetta.
Ma quand’anche un Dottor andasse fuora,
E ch’andar solo pur gli bisognassi, 231Come si vede ch’egli avvien talora,
Tu non lo vedi andar se non pe’ chiassi,
Per la vergogna, o ver lungo le mura, 234E in simil altri luoghi da papassi.
E par ch’e’ fugga la mala ventura;
Volgesi or da man manca or da man destra, 237Com’un che del bargello abbia paura.
Pare una gatta in una via maestra,
Che sbalordita fugga le persone, 240Quando è cascata giù dalla finestra,
Che se ne corre via carpon carpone,
Tanto ch’ella s’imbuchi e si difenda, 243Perchè le spiace la conversazione.
Se tu vai fuor per far qualche faccenda,
Se tu l’ha’ a far innanzi desinare, 246Tu non la fai che è ora di merenda;
Perchè la Toga non ti lascia andare,
Ti s’attraversa, t’impaccia, t’intrica, 249Ch’è uno stento a poter camminare.