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POESIE | 405 |
20E del vorace Dio di luce esauste
Giaccian solterra ambe le stelle infauste.
Tu coronata di feconda uliva
Vieni, deh vieni, o sospirata pace;
Spegna Aleto la face,
25Mentre amor d’altro fuoco altre n’avviva,
Ben’è ragione, o Diva,
Che posi il mondo, e con sì lieti auguri
Goda l’Europa omai giorni sicuri.
Taccian l’unghere trombe, e l’Albi, e ’l Reno
30Sepelliscano in mar lor’odi indegni;
E di morder non sdegni
Il Boemo infedel cesareo freno.
Sparga altrove il veleno
La sacrilega Olanda, e cessi intanto
35De le belgiche nuore il duolo, e’l pianto.
Sazio di gloria, e d’un sì vasto impero.
(Se pur uman desio sazio è giammai),
Rivolga il piede omai
Da gli Elvezi confin l’avido Ibero;
40E ’l geloso pensiero
L’Adriaco lion diponga, e stanco
Su l’arene natie riposi il fianco.
Ed or, che nube rea, nunzia di morte,
Sparge lampi guerrier dal ciel francese,
45Deh sorga aura cortese,
Che da l’Esperio suol lunge la porte;
E tu, cui de le porte
Italiche concesse ha ’l Ciel le chiavi,
Raffrena, inclito Carlo, ire sì gravi.
50Ma chi di rose il crin or mi circonda,
O qual ministro a miei desiri amico
Or di Falerno autico
Mi porge in cavo argento amabil’onda?
In stagion sì gioconda
55Ben lice incoronar, o muse amate,
D’indomito lieo tazze gemmate.
Questi, che distillar da greca vite
Su Posilipo aprico aurei liquori,
I cui beati odori
60Sembran viole a mezzo april fiorite,
Colmino di gradite
Insanie il cor, sì ch’io deliri, ed ebbro
Di gioia voli a festeggiar sul Tebro,
Stringa frattanto d’immortal legame
65Bella concordia i due felici amanti,
Sì, che d’anni volanti
Livor non possa intiepidir lor brame;
A lor con aureo stame
La Dea che i fusi eterni in giro mena,
70Fili di lunghi dì vita serena.
Vegga i giorni di Piero, e se più lice,
Più lungamente in Vatican risieda
Il buon Gregorio, e rieda
Sotto l’imperi suoi l’età felice;
75E Roma vincitrice
Dietro la scorta de’ nipoti egregi
Meni de l’Asia incatenati i regi.
Ed a ragion chi degli Aonii fiumi
Beve i sacrati umor, e’ carmi suoi
80A Ludovisi eroi
Prega benigno il ciel, propizi i Numi.
Se cangiando costumi
La città di Quirin fatta è per loro
Degno ricovro all’Apollineo coro.
85Voi, che lunga stagion in duro esilio
Lunge dal Tebro ingrato erraste, o muse,
E mendiche, e deluse
Già di pianto portaste umido il ciglio.
Con più sano consiglio
90Colà volgete i passi: a i merti vostri
Ludovico apparecchia, e gl’ori, e gl’ostri.
AL SIGNOR CARDINALE
BENTIVOGLIO
Che le miserie consistono in apparenza.
Dentro l’Etnea Fucina
Fama è ch’al figlio del Trojano Anchise.
Fabbricasse Vulcano arme fatali:
La spoglia adamantina
5Scintillava di gemme, e in fiere guise
Spargea d’oro guerrier lampi mortali;
Tal fra nubi di strali,
Fra selve d’aste il ben temprato arnese
Ne le mischie latine Enea difese.
10Ma contro a le saette
Che scocca, o Guido, inevitabil sorte
Non si fabbrica in Etna usbergo o scudo:
Tempre vie più perfette
Somministra virtute a un petto forte,
15Sì ch’inerme trionfa e vince ignudo.
Dardo non ha sì crudo
Faretra acherontea, che faccia oltraggio
A un’anima costante, a un pensier saggio.
Ne’ rischi si rinforza,
20Ne’ martiri s’affina, e ne le stesse
Miserie sue vive virtù contenta;
Di tirannica forza
Se novo Tauro in Agrigento ardesse
Le minacce non cura, e non paventa.
25Non è il duol, che tormenta,
Ma la tema del duol: tant’egli è fiero,
Quanto a sè stesso il forma uman pensiero.
Già con pompa reale
Aprì del Po su la sinistra riva
30Enzio il tuo gran fratel notturne scene:
De la reggia infernale.
Rappresentò gli orrori, e vera viva
L’immagin fu de le tartarce pene:
Uscìan da fosche arene
35Turbidi incendi, e per gli arsicci chiostri
Scorrean di sferze armate or furie or mostri.
D’orror di maraviglia
I gemiti i sospir le fiamme e i fumi
Sì m’impressero il cor, ch’io ne tremai:
40E l’attonite ciglia
Spenti che fur del gran teatro i lumi
Opre si rare a contemplar fissai:
Sorrisi ove mirai
Che ’l sembiante crudel de’ Stigii regni
45Eran tele dipinte e sculti legni.
Guido, i mali del mondo
Terribili non sono altro che ’n vista,
E sol quel primo aspetto è quel ch’offende.
In letargo profondo
50Immerso il nostro core invan s’attrista,
E ’l timor più che ’l mal misero il rende.
Saggio chi ben l’intende:
Pena che può soffrirsi e pena lieve,
Ma s’estremo è ’l martir passa ed è breve.