Dell’ultimo suo nato, a cui la parte
Miglior serbava del materno affetto, 940E l’uscir dello sposo e le sommesse
Voci di Zare e il sussurrar de’ servi
Le turbavan di strane ombre la mente.
Non appena de’ suoi Chèdar s’avvide,
Usci loro a rincontro; al padre innanzi 945Chinò il bel capo, e fisso gli occhi al suolo
La sua voce attendea. Le braccia eresse
Il venerato Patriarca, al cielo
Volse la fronte, e: Chi può far contesa
Con l’Eterno? esclamò: sull’arduo monte 950Pone all’aquila il nido, entro la terra
Schiude il covo al serpente; ei sul granito
Radica ed alza il padiglion del giusto,
Dell’empio i tetti ei dà ludibrio a’ venti;
Egli esalta, egli umilia. Al suo sorriso 955S’apre il sen della terra, e mette i fiori;
Alla dolcezza della sua parola
L’alma serenità sul mar veleggia;
Come spose alla prima ora d’amore,
Al suo cheto venir treman le stelle. 960Ma se negli occhi suoi l’ira lampeggi,
La terra ima traballa, al suo cospetto
Cadon prostrate le montagne, mugola
Come tauro ferito il mar vorace,