Zare, diletto mio, qual ti molesta
O pensiero o malor? Mai, ch’io rammenti, 325Non ti vidi così da poi che il lume
Dell’intelletto al viver tuo s’aperse.
Hai pregato qual suoli? O, men zeloso
Del ciel che dell’amiche opre dei campi,
Hai la prece al Signor posta in oblio? 330Tu pur ben sai che non si corca allegro
Chi la preghiera del mattin neglige.
Padre, disse il garzon, dall’inattesa
Voce del genitor tutto sconvolto
E rizzandosi in pie; non io la prece 335Mattutina scordai, ma tale in petto
Un’oscura mestizia oggi mi pesa,
Che di qualche mal or forse è foriera.
Sopraggiunse in quel dir la genitrice
Tutta nei veli candidi racchiusa, 340Fuor che gli occhi e la fronte, e: S’io non erro.
Motteggiando esclamò, quasi leggesse
Con occhio acuto nel pensier del figlio,
Tu sei stato alla fonte, ove talora
Porge da ber qualche gentil Rebecca. 345Chi tei disse? gridò, come stupito,
E con tremula voce il giovinetto,
A cui di brace color lasi il volto;
Hai parlato con Dio? Muta divenne