Se leale e di cor non la credessi. 250Ma illudersi che val? Nomade, e forse
Alla tua non gradita, è la mia stirpe
Che di Seba si noma, inqueta stirpe
Che d’Abramo e da Chètura discende,
E, quasi spinta da un destin maligno, 255In loco alcuno il padiglion non ferma.
Come onàgro inseguito, a questa valle
Venne povero e triste il padre mio,
Al quale ultima crebbi, e non per fermo
Desiderata, che, tu sai, la prole 260Ben accetta fra gli agi, ingrata sempre
Giunge a colui che nell’inopia vive.
Addio dunque, o cortese; il nome porto
Della moglie d’Abramo, e a par d’ignoto
Spinoso arbusto nel deserto io vivo. 265Così parlando, sospirosa in core
Accingeasi con lenti atti al ritorno.
Ma il tenace garzon non si contenne
Si di leggieri, poi che amor gli avea
Penetrato ogni fibra, e con bollenti 270Flutti nel cor gli concitava il sangue:
L’una man con solenne atto distese
Di contro al Sol; serrò con l’altra a lei
Mal repugnante la verginea destra,
E così le giurò: Se gli occhi miei