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in parte sul giornale «Il progresso Livornese». Sicchè quel 28 era l'uovo della divina sapienza che si doveva rompere nel 1878. Infatti si ruppe, e l'autore di questo càlcolo restò sempre più sorpreso, unito ai suòi amici, i quali conoscèvano una tale misura.
La sublimità dei concepimenti non impedisce però al sig. Cànfora di trastullarsi con qualche bisticcio gramaticale: si direbbe anzi che nella essenza della parola egli cerchi nuovi argomenti alle sue enigmàtiche affermazioni. L'agricoltore — così egli scrive — pianta, spianta, taglia ed innesta non a capriccio; come l'astrònomo, non può servirsi della fatalità per annunciare un uragano o della Cumana per dire «domani piov-era». Ed infine un filòsofo Trippucco non può dimostrare l'òrdine sociale... Ed altrove: signor lettore, se ha sano cervello e fegato ben formato saprà, da una parte, compatirmi o pur saprà scovare l'incògnito del mio debolìssimo ver-detto e del mio mitìssimo ben-fatto non solo; sibbene saprà vedere che tra tanti gabalisti imbecilli che ammòrbono il nostro meridionale, vi sono ancora una infinità di preti, i quali si danno molta importanza, dirèi quasi tutti, di andare contro il progresso della ragione divina.
Nè il signor Cànfora, ha torto, pare, di aver rancore coi preti, poichè nessuno di essi si è mai benignato di visitare la sua òpera, temendo di andare all'inferno — anzi, sol leggendo i suoi còmpiti spediti pel canale dell'arcivescovo de Bianchi Dòttola di Trani al Santo Padre Leone XIII, gli ha preso il male epilèttico; mentre invece essi (i preti) dovrebbero sapere che il 33 è il pesatore del vero e come tale saprà con la sua frusta umanata mèttere all'ìndice delle anime dannate la càusa di tanto scisma.
Tornando quindi ai suòi terni e quaderni, alle