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Per la forza delle allegorìe, il n. 7 è però vinto dal n. 142 — ossìa dal sig. Luigi Gatteschi, il quale ha fatto un grosso arco di cartapesta e di trionfo, guidato dai seguenti concetti:
Nel piano della parte superiore s'innalza la grande massa di nùvole in cristallo, opaco in buona parte, e naturale ove occorra lumeggiare le nubi, e sopra, la statua equestre in bronzo del gran Re....
Il pensiero predominante in detta parte del monumento, che è la principale, è stato quello di rappresentare il Re Vittorio Emanuele, che, posato su di un focoso destriero, trasvola nelle regioni celesti, avvolto in un manto di gloria.
Che l'abuso dei translati e dei sìmboli non sia — in ogni modo — un privilegio del poètico pòpolo della penìsola itàlica, ce lo pròvano molti bozzetti venuti dall'èstero, e, tra gli altri, questi:
Il n. 162 (Per aspera ad astra) che, a giudicare dal manoscritto, è lavoro di un tedesco, dividerebbe il monumento in tre parti, da costruirsi in tre differenti riprese. La prima ricorderebbe l'imàgine di Vittorio Emanuele, nella sua migliore età (45 anni), abbigliato da cacciatore, con cane e fucile, ed in marmo nero, per raffigurare il lutto degli italiani. La seconda sarebbe costituita da un'altra statua di pari grandezza e di pari colore, da porsi spalla a spalla con quella di Vittorio: cioè la statua di Umberto I in uniforme di generale, coll'elmo in pugno. La terza infine, da collocarsi tra i due sovrani in modo da far con essi un triàngolo (comechè figura perfetta e che ricorda la divinità) rappresenterebbe il principino di Napoli, anch'esso della stessa grandezza e nel medèsimo marmo del padre e dell'avo, vestito di frac e in cravatta bianca, e colle tàvole delle leggi sulle braccia.