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Non prenderemo nota, però, della scusa di non aver potuto, per mancanza di tempo, presentare completi lavori o di non èsservisi dedicati che ad intervalli, nè dell'affermazione di non aver fatto il progetto che dopo maturo esame, circostanza aggravante, o che il progetto fu accolto con deferenza dalla Casa Reale e dal giornalismo, tentativo di corruzione. Sono scuse troppo comuni, sono affermazioni sbugiardate presto dal fatto. Piuttosto compiangeremo quel pòvero n. 291 (V) al quale una quantità d'inaspettate vessazioni impedì d'inviare de' competenti disegni, e quel n. 163 (Hanc ratus sum partem meam) che, nel medèsimo caso del suo collega, si lìmita ad incolparne gli incòmodi che sono attinenti alla sua avanzata età. Non sappiamo, peraltro, che farci se il signor Cànfora (n. 294) non sia nè ingegnere, nè architetto, ma solamente inspirato da Dio, e se il signor Giacinto Carmelo di Francesco (n. 237) si affacci al concorso sfornito di severi studi essendo la sua professione di sèmplice ebanista. Resta a vedere se si dovrà chiùdere un occhio per quel n. 46 già citato, che non intese presentare un saggio d'inappuntàbile architettura e tanto meno una esatta prospettiva: ma seguiremo invece, attenti più che potremo, le elucubrazioni del n. 35 (l'architettura e la scultura sono arti inseparàbili) il quale comincia scrivendo: diciàmolo sùbito; il progetto che io presento, meglio che una trovata puramente artìstica, è il risultato, è la conclusione d'un breve ragionamento, ed ecco, filo per filo, come ragionò la mia pòvera testa...; oltrepasseremo, ammirando, quel professore nelle scuole tècniche di Arezzo, (n. 183, Esperienza è madre di scienza), che, offerta la più visìbile prova di una assoluta incapacità, delineando un arco che è il trionfo del cretinismo, modestamente c'informa