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36 | i mattoidi al concorso pel monumento a v. e. |
non oltrepàssano «il lùcido» combinazioni da rimario e ricetta, furti coll’aggravante di avere guastata la roba furata per dissimularne l’origine[1]. Voi, invece, avete comuni cogli autori di genio la smania della ricerca e l’ambizione del nuovo, qualità che spavèntan perfino dalla bellezza la folla ignorante e l’accadèmica plebe. Cadeste, è vero, nel tentativo — che non vi soccorse bastante ala di mente — ma, almeno, fu propòsito vostro di volare alle stelle, non di saltare una staggionata.
Nè lo studio di voi è superfluo. A indovinare quella artistica perfezione che da tutti si ciarla e pochi raggiùngono, perfezione che sfugge a qualunque precetto assiomàtico, si arriva tanto per la meditazione delle òpere belle quanto per l’esame di quelle che ne sono il contrario. Dalla sola mediocrità nulla s’apprende. Conconi, Otto, Amèndola, Ximènes e altri pochi, coi loro progetti magnificamente pensati ed eseguiti, ci danno una idèa della sanità in arte. Quì si analizza invece la malattìa, studio del pari importante.
Importante ho detto e avrèi dovuto dire indispensàbile. Non c’è atto di questa vita, non avvenimento, in cui non oscìllino i sonagliuzzi della follìa. Sembra anzi che l’umano cervello, sviluppàndosi, affinàndosi a traverso le generazioni, si faccia vie più sensìbile alle turbatrici metèore e che il quoziente mattòide entri in quantità sempre maggiori nella cifra delle nostre azioni.