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16 il regno dei cieli

ci appaghi. Se a complemento delle altre soddisfazioni morali, è necessario l’applàuso altrui, qui basta il nostro. Tàciasi degli ingrati. La gratitudine non è da coniarsi fra i premi del benefattore, ma del beneficato. Pretènderne è un usureggiare, un volere cioè cosa diversa o da più del dovuto, un volere un esterno compenso, mentre già abbiamo l’interno. E che la gioia prodotta dal beneficio sia un premio, ve lo dimostri il riflètter che il premio, qualùnque si sia, non è altro che un mezzo per risvegliare un sentimento di soddisfazione in noi, che qui nasce vàcuo d’intermediari.

Eppure, non è la coscienza soltanto che esortaci al bene. Vi ha l’esperienza, sua figlia che non mai la sconobbe, la quale ne dà matemàtiche prove, che il bene — o come volete, il retto, il giusto, la virtù, il bello — è anche ùtile. Dica pure Lucano, abbandonato un istante dal genio,

 sìdera terra
ut distant, ut fiamma mari, sic ùtile recto;

gli applàudano pure altri mille, ignoti al genio di lui, sempre stette e starà che l’ùtile vero non possa andar scompagnato dal retto. Se non a me, crederete a quella psicologìa del mondo che è l’economìa sociale. Perocchè, ove il bene dovesse, per sua natura, produrre malèfici effetti, a me sembra che l’umana ragione, fin dal suo primo apparire, avrebbe dato quel senso or posseduto dal bene, appunto al suo opposto, tanto che leggi, prèdiche, trattati morali, c'inculche-