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Carità - Amore 13

cuore e con il cuore gli occhi. E poi, una smania, una febbre di scoprirne il perchè, o, almeno, di loro affibbiàrgliene uno. Tutto quanto la mia memoria poteva mèttermi insieme di disgustoso. ... fallite speranze, immeritate mortificazioni, rimorsi, disgrazie presenti e future, disgrazie mie e d’altrui.... tutto quanto la fantasìa me ne poteva creare, chiamavo a raccolta. Che sorta di edifici inalzassi, è un portento! Eran città di dolore, èrano imperi, èran mondi. Chi più adulatore a noi di noi stessi, e màssime nella mestizia? Figurati! andavo a pigliarmi i nomi de’ miei struggicori, perfino dai libri. Oh quanti sospiri, oh làgrime quante e singhiozzi sprecai sulla morte immortale della Bice di Dante!... Ed era allora, che il mio gentilissimo amico (e Giulio qui mi stringeva la mano) dicèami pietosamente «invigila alla tua salute».

Senonchè Amore provvide.

Io era uscito una sera, tanto per cangiare di posto al misterioso mio male, di que’ mali, per cui si favoleggiàrono i suggisàngue vampiri, e camminavo lento, melanconico come l’àqua, con quella andatura leggermente oscillante dell’uomo ebro dalla sciagura; e udivo non intendendo, e guardavo senza vedere.

Ma appunto, dinanzi alla bottega di quel fornaio, che cerca di ritornare appetitoso il pane ai ricchi, fe’ il mio buon genio ch’io m’accorgessi di due piccini, una bimba e lui maschietto, che non si potèan dir nudi ma neppure vestiti, attaccati per le manine al màrgine della vetriera