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Sono i potenti felici? 7

gnìfico male. Seppe quel grande inspirare in altrui, con la voce dell’Arte, il contento e la fede, e il dubbio lui rode, tutto conobbe, sè ignora, ebbe la rara fortuna di vìvere tanto sì da trovarsi, uomo nuovo, fra i suoi ammiratori medèsimi, e duolsi che gli sia mancata, opportuna, la morte. Che, se l’artìstico vero, che a piene mani egli ha sparso, sempre più si sviluppa, già crebbe viemaggiormente a rigoglio l'immìstovi errore, di nuovi errori seme. Oh quanto egli non fece, che avrebbe dovuto! oh quanto, non come dovea, fece! E che gli giova d’avere sopravissuti nel dì del trionfo i suoi inimici, quando costoro sono già scesi laddove non giunge nè vergogna nè onore, certi della vittoria? Vero è bene, i lor figli, pecorilmente entusiasti, inneggiando ora a lui, si dirèbbero quasi scontare il paterno delitto, ma l’omaggio insipiente è di noia, è d’offesa al grand’uomo. S’egli era una volta meno lodato e più conosciuto, sa di èssere ora, più che non conosciuto, lodato. Gli si parla di gloria, pàrlasigli d’immortalità. Gloria? e come lo potrà lusingare l’altissimo nome, quand’egli non l’occuperà più? quando tal nome si sarà fatto comune a tutti i passati?... Immortalità? studiate geologìa.

E così, i figli di Ròmolo, i Pochi, i tuoi miseràbili Dii, plebe, sotto l’orpello di una invidiata felicità, abbàssano spesso sui Molti, dai pericolosi lor troni, lo sguardo del desiderio, e sospirano: beati i pòveri, beati gli imbelli, beati gli idioti! —