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interludio ix

nose le innegabili bellezze — o i difetti non meno innegabili — di questi libri, come un condimento che fa più saporite le vivande, anche se per sè stesso indigesto? Si deve ancora, sempre, come quando apparve per la prima volta in piena fregola di purismo, condannarla come un’eresia, dannosa anzitutto allo stesso eresiarca?

La questione, naturalmente, è rimasta insoluta, e per più ragioni, che non dipendevano tutte dallo scrittore, bensì in parte anche dai suoi critici istessi. Ma che importa questo — se pur non giova, e giova, alla stessa fama del Dossi — se questo è — ed è — il preannuncio della gloria? Poichè in un punto essenziale la critica è stata tutta concorde: anche quando si è chiesta, dubitosa e dubitante, se il Dossi poteva essere considerato in teoria, e divenire in pratica uno degli elementi costitutivi della organica, secolare, permanente letteratura nazionale, essa ha con intima convinzione riconosciuto che, più e meglio di un elemento letterario, egli è un elemento umano.

Ed interessantissimo è, per uno spirito osservatore, il constatare alla lettura di tutti quei giornali come e per quali diverse affermazioni, negative, deduzioni, i critici, così diversi l’un dall’altro per età, per indole, per atteggiamento intellettuale, per attitudine analitica, sieno venuti unanimi a questa istessa sintesi. Nè il caso meno significante è certo quello di coloro i quali vi sono venuti nolenti, e che, avendo incominciato dal negare il redivivo, il postumo, hanno finito, concludendo, per essere i più convinti assertori della sua indefettibile vitalità.

Quando il giudizio, seppure benevolo, e magari entusiasta, è stato in parte inesatto, e qua e là incompleto?

Quando inesatta e incompleta era la co-