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viii interludio

la voce, sicchè l’ha udita finalmente anche chi era rimasto per sì lunghi anni sordo agli a solo, per quanto sapientemente modulati, o audacemente librantisi a volo, di ugole ammaestrate e di inesperti esordienti.

È partita quella voce all’unisono?

Quasi. L’accordo è stato anzi, si può dire, perfetto, nel celebrare il valore singolarissimo dello scrittore. Tutti, dagli amici effervescenti e compromettenti ai freddi e sereni periti di valori letterarii, dai veterani alle reclute, hanno riconosciuto che il Dossi è uno scrittore dal quale non si può, non si deve fare astrazione da quelli che scrivono, e, ciò che è più, da quelli che leggono. E tanto basterebbe alla fortuna, come del primo volume, di tutta questa e delle successive edizioni, sicchè può dirsi che pel Dossi è surto finalmente il giorno di venir compreso nel listino del gran mercato librario.

Per quali virtù? Qui, l’accordo è stato, naturalmente, minore, perchè ognuno l’ha giudicato a seconda dei proprii gusti: pregiudizi, preferenze, simpatie ed antipatie letterarie, ed anche più intimamente psicologiche. Ma questa non è che una riprova della complessa ricchezza di un ingegno, il quale, come l’uomo che esprime, è impastato di contraddizioni, ed ha quindi in sè tanto da interessare, per le più opposte ragioni, le più varie e diverse categorie di lettori. Come definirlo dunque? E qui l’imbarazzo è stato forte. È il Dossi un umorista? umorista secondo la ricetta inglese, o secondo l’esempio manzoniano? È un verista? È un romantico È un pessimista? È un ottimista? Quella sua lingua, così diversa da ogni altra lingua letteraria, compresa la comune lingua italiana, è una virtù o un vizio? Giova a rendere più evidenti, più lumi-