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82 la colonia felice

timento, ma di lune sanguigne. Rappresentava la Indifferenza; non già la divina di chi moltìssimo sa, ma di chi niente. Un passo più giù e ci saremmo trovati in pieno ebetismo.

Era insomma di quelle ragazze che non isvègliano che desiderii fatti di carne e di mùscoli; di quelle che coll’eguale commovimento sèntono una dichiarazione d’amore e l’annunzio della zuppa che aspetta. Èster, nata in una làuta onestà, non si sarebbe, certo, incomodata ad uscirne; avrebbe, come il più delle donne aumentato la formidàbile turba degli imbecilli e attaccato bottoni saldissimi: sorta, al contrario, in un ambiente di viziosa miseria, continuò, senza rimorso nè gusto, a far quanto la sozza interceditrice matrigna più non poteva; alimentò il corpo col corpo, mettendo bottega de’ suoi baci stopposi, e delle lievìssime effervescenze. — E l’Oca, sèmpre con quel suo vàpido riso e quel molleggio di anche, dondolò fino al berretto di Aronne, dove, fatto un inchino e sortito una scheda, stette con questa in mano e spiegata, senza sapere che fare, senza sapere che dire, timida no, ma analfabeta.

— Chi è? — da ogni parte si chiese, e tutti le si affollàrono intorno.

— Mia! — eruppe in trionfo un giovanotto rossigno, travedendo il suo nome. E Rosario il Fanfirla l’abbracciò stretto stretto e baciolla; ed essa, lasciossi baciare e abbracciare. Per quanto stolta una donna, un uomo c’è sempre che la vince in stoltizia — il suo amante.