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Panche di scuola 65

di — in questa — allentàndosegli a un tratto il furore, spaventato Dio sa per che cosa, cac- ciàvasi ne’ capelli le paline e, gridiindo : — che ho fallo ! che ho fililo ! — fuggiva. VII. Due giorni dopo scendendo noi per la ricreazione trovammo la berlina a olio molle della vecchia Izar dinanzi al pòrtico — con i suoi grossi e grigi quadrùpedi e con quel certo ghirigoro a cifre sullo sportello il (piale la cx- vcndilrice di olio voleva che, almeno alla lontana, rendesse tanto (pianto aria di una corona. (Ionie era dì non festivo e come, altra-

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versando la siila, non udivano la parola «denaro ammirale buona circonlocuzione per dire ehi* non vi sedeva la mercantessa) così ei guatammo l’un l’altro ed aspettammo, con balli- cuore, una tempesta. Infatti, al comparire del direttore insieme alla Izar, come più arrogante pareva costèi 1 quanto più leccascarpe, quello ! La dama, scorgendo la sua cara tristizia di un Daniele, se la chiamò vicino, e : Non toffenderanno più, mia oliva — disse; poi, dritta come una stecca da bigliardo, con un teatrale sussiego. Siili il monlatojo. K un servitore chiùsele impetuosamente dietro lo sportello ; un servitore che, il rischio di fiaccarsi il collo, intanto che i due robusti Me- clemburghesi davano la scappata, si arrampicava presso al tranquillo auriga, crèmisi più de’ suoi calzoncini. LIang.... un locco. Noi, sparito il nostro pane, consumata una mezza suola, torniamo alle panche. D